Francioli Ortodonzia

I bite, in odontoiatria

Con il termine bite, ormai diventato di uso comune per indicare un dispositivo atto a rialzare la dimensione verticale, normalmente in acrilico, da inserire tra le due arcate dentarie, per modificarne le relazioni spaziali nel combaciamento senza variare in alcun modo permanente i denti e la loro posizione. La sua azione é prevalente quindi sulla funzione neurale e muscolare e sull'adattamento articolare a questa. Da comparsa occasionale nella routine delle cure ortognatodontiche degli specialisti del passato è diventato il protagonista della cura dei disturbi occlusali e posturali, tanto che negli ultimi anni il suo utilizzo si é generalizzato. Usato ed abusato quindi, da quel che vediamo nella pratica quotidiana, il bite può essere un ausilio terapeutico di importanza fondamentale quando veramente indicato e ben concepito. Di fondamentale importanza è la presa delle impronte e la corretta rilevazione del morso di costruzione, se viene montato i modelli in articolatore il compito dell’odontotecnico è molto facilitato, non sono indicati vertocclusori o dispositivi che non riproducano i movimenti dell’articolazione tempo-mandibolare. Da quando Karolyi nel 1901 per primo preconizzò l'uso di una placca interocclusale, le indicazioni cliniche del bite hanno fatto seguito agli studi di vari gnatologi: Hawley nel 1919, Monson nel 1921, Schuyler nel 1935, Sved nel 1944, Drum nel 1966, Ramfjord nel 1966, Shore nel 1967, Gelb nel 1977, Farrar nel 1979, Mongini nel 1980 sono solo alcuni degli Autori che hanno sperimentato innovazioni nella progettazione d'utilizzo delle placche apportando talora qualche modifica al prototipo comune. La più semplice classificazione dei bite li suddivide in: • Placche di svincolo • Placche di stabilizzazione • Placche di riposizionamento.

Per la loro costruzione la tecnica indiretta è la più utilizzata. Il reperimento della tridimensionalità spaziale che si dovrà frapporre tra le due arcate dentarie incorporata nello splint è affidata ad una "registrazione occlusale". La correttezza di questa riproduzione é il cardine fondamentale della terapia con bite. Verrà inviata quindi al laboratorio insieme con le impronte delle arcate dentarie e la prescrizione del dispositivo opportuno di placca. L'odontotecnico monterà in articolatore (strumento meccanico con cui si può simulare a vario grado di complessità la cinematica mandibolare) i modelli ricavati colando del gesso nelle impronte e li registrerà tra loro col morso di costruzione rilevato dall'odontoiatra. Procederà quindi alla costruzione del bite in resina seguendo fedelmente la prescrizione ricevuta dallo specialista. Talvolta però sarà necessario una funzionalizzazione del dispositivo all’interno del cavo orale del paziente, per questo è importante l’esperienza del clinico. L'abuso in termini sia di errata diagnosi che di inadeguatezza della terapia é nell'esperienza di molti tra pazienti e clinici. Il bite insomma é divenuto un oggetto "popolare" facilmente accettato dai pazienti. Purtroppo il più delle volte l'inadeguatezza della diagnosi e della realizzazione é riconoscibile solo a posteriori. Come in tutti gli altri casi di rapporto medico paziente, solo con grande chiarezza nella comunicazione e con precisione di diagnosi, dopo l'effettuazione della visita e l'esecuzione degli eventuali esami d'ausilio diagnostico, si può trovare la validazione di questo esclusivo rapporto..

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